Esistono ancora stereotipi culturali che continuano a perpetuarsi e ai quali, sia uomini che donne aderiscono, spesso inconsapevolmente, facendosi trascinare a poco a poco in una prigione del genere sessuale e rimanendo in essa intrappolati come se fossero nel bel mezzo delle sabbie mobili.
Stereotipi che inseriscono il genere femminile all’interno di categorie quali l’essere materne, servizievoli, accomodanti, pazienti, altruiste e sempre disponibili ed inseriscono invece quello maschile all’interno di altre categorie quali l’essere aggressivi, razionali, controllati, poco emotivi, decisi, invulnerabili e risolutori di problemi.
Riemergono forse, nella memoria di molti, frasi di questo sapore un po’ amaro:
- Le brave bambine devono essere ubbidienti e non si arrabbiano
- I bravi bambini mangiano tutto
- Cosa piangi? Non sei mica una femminuccia!
- Hai sporcato tutto il vestitino, devi fare attenzione!
- Oggi si che hai fatto una bella partita, sei tutto sporco di terra!
- Riordina i giochi tu che sei più brava di tuo fratello
- Fatti valere! Sei un ometto!
- Sii carina con i tuoi compagni
A custodire dentro di sé un repertorio di credenze disfunzionali si rischia di sviluppare un falso Sé, ovvero un Sé abituato a dover rispondere alle aspettative esterne piuttosto che orientato alla soddisfazione dei propri bisogni e al centro di se stessi. Il senso di identità personale è fondato falsamente sull’accondiscendenza ai desideri altrui e, anziché comportarsi in base ai propri bisogni e desideri, la persona si comporterà come gli altri vogliono che si comporti.
L’incapacità a contattare le proprie emozioni e desideri autentici e il forte bisogno dell’approvazione altrui determina la difficoltà a fare delle scelte in piena autonomia rimanendo al servizio dell’altro. Mettere a tacere la voce interiore può portare ad identificarsi con i valori che appartengono all’altra persona, un po’ come se il messaggio sottinteso fosse “sono come tu mi vuoi”.
Le situazioni in cui si finisce per accettare cose che in realtà non corrispondono ai nostri bisogni sono innumerevoli, dai genitori, agli amici, al lavoro, a situazioni semplici di vita quotidiana. Essere disponibili e accondiscendenti anche quando non si vorrebbe è vantaggioso in quanto permette di evitare i conflitti, riduce l’ansia di esporsi, diminuisce il senso di colpa e permette di ottenere un consenso sociale. A lungo termine però provoca delle conseguenze negative su di sé dando la sensazione di essere sfruttati, aumentando l’insoddisfazione, la frustrazione, la rabbia e la tristezza. Dire sempre di si dunque semplifica la vita ma solo in apparenza.
Come uscire allora dalla trappola del “sono come tu mi vuoi”?
Un ingrediente fondamentale senza il quale la pietanza che fa gola a tutti, ovvero l’autostima, non sarà di certo appetibile è il sano egoismo, un aspetto ancora oggi zoppicante in molte persone.
Sano egoismo: sembrano due parole paradossali e contraddittorie ma non è così. E’ importante distinguere il sano egoismo da un egoismo non sano, quest’ultimo è esagerato, impoverito e supportato dalla convinzione che “i miei bisogni, desideri e pensieri sono più importanti dei tuoi”, è limitante e irrispettoso degli altri.
Il sano egoismo invece è la pietra miliare dell’autostima, significa essere convinti di avere il diritto alla soddisfazione dei propri bisogni, di poter esprimere le proprie opinioni ed emozioni nel rispetto altrui riconoscendo che anche gli altri hanno lo stesso nostro diritto.
Cosa puoi fare per sviluppare un sano egoismo?
Sei TU che devi scegliere se accettare o meno le idee e opinioni degli altri e riconoscere di avere il diritto alle tue emozioni qualsiasi esse siano, sei TU che devi scegliere se accettare o meno una richiesta, se accettare o meno di farti carico dei problemi degli altri, se accettare o meno di togliere tempo a te per qualcun altro, solo TU, è un tuo diritto.
- Ti ritrovi a rispondere sempre SI quando ti fanno delle richieste?
Prendi tempo prima di rispondere, puoi dire semplicemente: “Te lo faccio sapere più tardi”, “Mi serve un po’ di tempo per pensarci”, “In questo momento non lo so, te lo faccio sapere al più presto”, “considero la tua richiesta ma devo riflettere un attimo”.
- Pensaci e rifletti davvero
Prenditi il tempo necessario per ascoltare i tuoi bisogni e necessità. Non chiederti: “E’ giusto o sbagliato?”, “E’ bene o è male?”, domandati piuttosto: “E’ quello che desidero?”, “Mi va bene o non mi va bene?”
Ricorda che ci sono delle priorità e puoi decidere a chi dedicare o meno il tuo tempo senza sentirti in colpa.
- Ti preoccupi delle possibili conseguenze di un NO?
Immaginati di avere un’amica/o o un compagna/o che qualsiasi cosa tu chieda, dica o proponga ti risponda sempre affermativamente, è sempre d’accordo con te e gli va bene tutto quello che proponi, le tue idee, i tuoi punti vista, ecc. Come ti sentiresti dopo un po’ di tempo?
La sensazione è quella di avere a fianco una persona non autentica, non sincera, sterile e con la quale è difficile confrontarsi, prima o poi comincerebbe ad annoiarti e sentiresti la necessità di allontanarti. Se invece con l’altra persona non c’è un legame affettivo è probabile che le richieste aumentino in proporzione alla tua disponibilità portandoti a vivere la vita di qualcun altro anziché la tua.
Dire NO dunque è fondamentale per il tuo benessere e aiuta poi l’altro a sentirsi maggiormente a sua agio quando sarà il suo momento di rifiutare una richiesta da te inviata.
- L’idea di sbagliare ti ossessiona?
Non illuderti, non raggiungerai mai la perfezione perché semplicemente non esiste. E’ molto più utile fare propria l’idea che sbagliare è umano e che ci si impegnerà a recuperare il danno fatto, se di danno reale si tratta.
Non potrai mai essere una madre, un’amica, un compagno, un lavoratore perfetto, ma potrai essere una madre, un’amica, un compagno e un lavoratore più che soddisfacente e va bene così!
“Arrabbiarsi è spesso un segnale che avverte che dobbiamo farci rispettare di più”
Dott.ssa Manuela Ferrara – Psicologa Psicoterapeuta